Sul sito del Ministero della Salute appare, attraverso la
ricerca google, un documento, di qualche tempo fa, dell’Apat (Agenzia per la
protezione dell’ambiente e per i Servizi Tecnici) dal titolo ‘Diossine, Furani
e PCB’. Cliccando questo link potete leggere tutto il rapporto. Noi riportiamo
le parti salienti di questo documento, in un momento nel quale, in Campania,
dopo gli incendi di diversi impianti dei rifiuti, il nome DIOSSINA è molto utilizzato.
“Le diossine sono sostanze che vengono immesse nell’ambiente
da numerose sorgenti, presentano una certa mobilità nei confronti delle diverse
matrici ambientali, hanno – si legge nel tersto- una struttura chimica stabile
ed una considerevole vita media. Le diossine possono determinare un
inquinamento cronico, pressoché ubiquitario e possono dar luogo ad eventi che,
con una nuova accezione del termine, potremmo definire “emergenze ambientali”.
Infatti, si possono verificare situazioni in cui vi siano particolari catene
alimentari che, attraverso fenomeni di bioaccumulo e pratiche/abitudini
antropiche, portino le concentrazioni a livelli pericolosi per l’ambiente e/o
l’uomo anche a fronte di una presenza di inquinanti bassa, o addirittura
bassissima, che non comporterebbe rischi immediati e chiaramente identificabili…”
E ancora… “Con il termine generico di “diossine” si indica un gruppo di 210
composti chimici aromatici policlorurati, ossia formati da carbonio, idrogeno,
ossigeno e cloro, divisi in due famiglie: dibenzo-p-diossine (PCDD o
propriamente “diossine”) e dibenzo-p-furani (PCDF o “furani”). Si tratta di
idrocarburi aromatici clorurati, per lo più di origine antropica,
particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente, tossici per l’uomo, gli
animali e l’ambiente stesso; le diossine e i furani costituiscono infatti due delle
dodici classi di inquinanti organici persistenti1 riconosciute a livello
internazionale dall’UNEP2 …”
Poi il documento tratta di… “…Modalità di ingresso di questi
contaminanti nella catena alimentare. Sulla base delle conoscenze ad oggi
disponibili, il meccanismo primario di ingresso delle diossine nella catena
alimentare terrestre, sembrerebbe essere la deposizione atmosferica in fase di
vapore sulle foglie delle piante e, parzialmente sul terreno, ingeriti
successivamente dagli animali. Le diossine sono sostanze che si accumulano nei
tessuti grassi degli organismi, quindi se erba e suolo contaminati vengono
ingeriti da erbivori si verifica un accumulo di queste sostanze nei grassi
delle loro carni e nei grassi del latte prodotto. In generale, per aree non
particolarmente interessate da emissioni a carattere industriale, la presenza
di diossine nell’ambiente deriva, prevalentemente, non dalle emissioni attuali,
ma dall’accumulo continuo e prolungato di quantità, anche piccole, di questi
contaminanti nelle cosiddette “riserve ambientali”. Occorre però ricordare che
non tutte le diossine presenti nell’ambiente risultano essere “biodisponibili”,
ovvero essere in forma tale da “passare” nella catena alimentare e provocare un
impatto sulla salute. La biodisponibilità dipende dalle caratteristiche
ambientali (suolo, acque, sedimenti) e dalle caratteristiche del contaminante
(le sostanze appartenenti alla categoria “diossine” hanno diverse
caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche)…”
E poi forse quello che ci interessa di più: “…Valutazione
dell’esposizione alle diossine. L’uomo può venire in contatto con le diossine
attraverso tre principali fonti di esposizione: accidentale, occupazionale ed
ambientale. La prima riguarda contaminazioni dovute ad incidenti, argomento
trattato nel quarto capitolo, la seconda riguarda gruppi ristretti di
popolazione (professionalmente esposti), come nel caso di coloro che lavorano
nella produzione di pesticidi o determinati prodotti chimici. L’esposizione
ambientale, infine, può interessare ampie fasce della popolazione e può
avvenire, per lo più, attraverso l’alimentazione con cibo contaminato, anche se
vi possono essere altre vie di esposizione quali l’inalazione di polvere o il
contatto. Recenti studi hanno stimato che circa il 95% dell’esposizione alle
diossine avviene attraverso cibi contaminati ed, in particolare, di grassi
animali. L’assunzione di latte e latticini contaminati rappresenta
approssimativamente il 37% dell’esposizione, tuttavia una percentuale
apprezzabile del totale deriva dall’assunzione di carni bovine, suine e di
pesce. I prodotti di origine vegetale contribuiscono in piccola percentuale. Il
metodo migliore per ridurre l’esposizione5 a queste sostanze risulta essere, ad
oggi, l’adozione di un regime alimentare povero di grassi animali…”.
Infine… “…Effetti sulla salute umana L’uomo, in quanto
vertice della catena trofica, risulta esposto alle conseguenze derivanti dalla
presenza di diossine nell’ambiente anche a concentrazioni basse o addirittura
bassissime. Qui di seguito si sintetizzano gli effetti maggiormente noti di
tali contaminanti sull’organismo, evidenziando che si tratta prevalentemente di
patologie conseguenti a esposizioni acute tipiche di eventi incidentali e/o
esposizioni professionali. Occorre inoltre osservare che, in alcuni casi, la
relazione causa-effetto tra esposizione alla contaminazione ed effetti
sull’organismo non è stata pienamente accertata. Si riportano qui di seguito i
risultati15 di una ricerca bibliografica effettuata per sintetizzare le
conclusioni degli studi sperimentali disponibili sui potenziali effetti
biologici delle diossine. La cloracne è stata storicamente la prima espressione
clinica e patologica collegata all’esposizione alle diossine; essa fu infatti
individuata per la prima volta nel 189716. Fu segnalata come malattia
occasionale tra i lavoratori addetti alla produzione dei primi pesticidi negli
anni ‘30, e tra i lavoratori degli impianti per la sintesi dei
policlorobifenili (PCB). La malattia si manifesta con eruzioni cutanee e
pustole simili a quelle dell’acne giovanile, però con possibile localizzazione
estesa all’intera superficie corporea e con manifestazioni protratte, nei casi
più gravi, per diversi anni. Studi condotti su animali e sull’uomo evidenziano
le alterazioni a carico del sistema immunitario indotte da diossine anche a
dosi molto limitate17. Tali alterazioni consistono nella riduzione e nel
danneggiamento della popolazione dei linfociti (cellule che svolgono una
funzione importante nelle difese dell’organismo e altri microrganismi
infettivi). Altri studi evidenziano come l’azione delle diossine può essere
particolarmente dannosa durante lo sviluppo fetale, al momento cioè della
differenziazione tissutale del sistema immunitario, determinando alterazioni a
lungo termine, sia in senso immunodepressivo che ipersensibilizzante. Altri
importanti effetti delle diossine si riscontrano a livello del sistema
endocrino; tali contaminanti vengono infatti classificati tra i modulatori
endocrini, termine che indica “un agente esogeno che interferisce con
produzione, rilascio, trasporto, metabolizzazione, legame, azione o
eliminazione di ormoni naturali del corpo, responsabili del mantenimento
dell’omeostasi (situazione che consente di mantenere in uno stato di equilibrio
biochimico dinamico le condizioni di vita dell’ambiente interno del nostro
organismo) e della regolazione dei processi riproduttivi e di sviluppo”18. Nei
feti esposti a concentrazioni di diossine pari o lievemente superiori ai valori
di base durante la fase gestazionale sono stati riscontrati effetti sullo
sviluppo del sistema nervoso e sulla neurobiologia del comportamento, oltre che
effetti sull’equilibrio ormonale della tiroide…”