GRAVIDANZA e PARTO al tempo del CORONAVIRUS. Il racconto di un 'nostro' papà


Riceviamo e pubblichiamo da un nostro paziente: “Buongiorno, mi chiamo Franco e sono papà da poco tempo di uno splendido bambino di nome Nicola. Con mia moglie siamo al settimo cielo perchè, considerando la nostra età, non più giovanissima, non ci aspettavamo più un lietissimo evento di tale portata. Sono stati mesi di preoccupazioni, di timori, di ansie e infine, visto il coronavirus, di angoscia, di solitudine e di sofferenza. Insomma per circa 12 mesi, da quando siamo entrati nel vivo del percorso di PMA (fecondazione assistita) al Centro Iatropolis-Genesis Day Surgery di Caserta del Professore Raffaele Ferraro, abbiamo vissuto in apnea o, se preferite, con la testa un po' 'per aria' come si suol dire. Prima emozione, in ordine cronologico: inserimento embrione nel corpo di mia moglie. “Speriamo che vada tutto bene” dice lei. Ed io: “Cara tranquilla, andrà tutto bene”. In realtà è la solita frase di circostanza perchè non essendo, io, medico che ne posso sapere se andrà bene o male. Per me già chi fa una siringa è un chirurgo, figuriamoci. Comunque, arriviamo al Centro Iatropolis-Genesis Day Surgery. Ci accoglie con un sorriso rassicurante la signora Maria dell'accettazione. Poi le gentilissime ostetriche Angela e Nunzia ci accompagnano verso una delle camere dell'attrezzato day surgery della clinica. Mia moglie, durante il tragitto, mi guarda quasi a voler dire: “Che ne pensi? Dimmi qualcosa, sto preoccupata” COSA TI DICO CHE STO PIU' c... addosso di te? Che ti devo dire.... “Amore, è tutto apposto, abbiamo risolto, sei incinta di due mesi”. E magari poi ti incazzi pure? Anzi l'incazzamento, in questi casi è assicurato, qualsiasi cosa le dici, qualsiasi. Allora per evitare 'ulteriori questioni' (altre) decido di seguire gli altri mariti lontano dal 'campo minato' rappresentato da mogli e compagne 'assiepate' fortunatamente nelle sale degenza; chiuse a chiave, qualcuno sogna nei corridoi. Noi uomini ce ne andiamo fuori: i più a fumare ma qualcuno, uno, che non era riuscito a sottrarsi in tempo alla preoccupazione, alias, tensione, alias ansia, poi trasformatisi, con l'avvicinamento dell'evento 'transfer', in 'furia' della rispettiva metà, esce un po' rabbuiato. Noi, per evitare ripercussioni ulteriori, quelle cosìdette a catena, preferiamo non avvicinarci a lui, rispettando la privacy, mettiamola così. Ah, premessa: siamo tutti a distanza di più di un metro l'uno dall'altro. Si perchè, nonostante siamo ad inizio marzo, nel Centro vige già un protocollo 'ultra militare': varchi la porta e c'è un signore che ti guarda in stile 'Mezzogiorno di fuoco' quasi a dire: “Bello, volevi scappare, ma a me non la si fa”. Tu vorresti rassicurarlo e con gli occhi cerchi di spiegarti: “Guardi sono preso da mille pensieri, non volevo saltare 'la dogana'”. Ma lui è irremovibile sulla sua idea di tua 'fuga dal controllo' e con tono ultra deciso: “Allora oltre alla mascherina, che già possiede, prima di entrare deve misurare temperatura, igienizzare le mani e compilare questo modulo, chiaro”. Cosa gli vuoi dire? L'unica cosa che mi venne in mente fu la seguente: “Senta, se io eseguo tutto ciò che mi ha chiesto alla firma del documento finale rischio di incrociare mia moglie che, nel frattempo, sta uscendo e l'hanno dimessa. Non si può praticare uno 'sconto' su questo protocollo? Anche perchè mia moglie mi aspetta in camera e se non sono con lei tra 10/15 secondi, stasera, caro amico, mi vedrà in tv protagonista sui canali nazionali: vittima di omicidio volontario”. (1 -continua)